L’impresa degli irredentisti che donarono al Re d’Italia l’allegoria di Trieste e l’Istria

Feb 5, 2022

Il Piccolo di Trieste

La deriva di Antonio Snider Pellegrini

Esposta da ieri a Miramare l’opera di Annibale Strata che era stata dei Savoia. Furono Antonio Snider Pellegrini e Raffaele Abro i promotori dell’iniziativa.
Sullo sfondo si distinguono chiaramente il porto e la città di Trieste, mentre in primo piano, dall’alto del promontorio carsico, una giovane donna vestita di bianco e rosso, con una cinta verde, si tende verso due piccole imbarcazioni in prossimità della costa. La donna agita un drappo bianco ricamato in oro con le scritte Trieste e Istria e l’alabarda, simbolo della città; da una delle due barche alcuni soldati paiono risponderle con un gesto di saluto, sull’altra dei garibaldini in giubba rossa sventolano la bandiera italiana.La tela intitolata “Allegoria di Trieste e dell’Istria” del pittore Annibale Strata, giunta al Castello di Miramare qualche giorno fa dai Musei Reali di Torino, è stata svelata ieri mattina in una conferenza stampa presentata da Andreina Contessa, direttore del Museo Storico e del Parco del Castello di Miramare ed Enrica Pagella, direttore dei Musei Reali di Torino.Il ritorno dell’opera di Strata a Trieste rientra nel progetto del Ministero italiano della Cultura “100 opere tornano a casa. Dai depositi ai musei”, curato da Caterina Bon Valsassina e fortemente voluto dal ministro Dario Franceschini, con la finalità di promuovere e valorizzare il patrimonio storico artistico e archeologico italiano conservato nei depositi dei luoghi d’arte statali.Donata al re Vittorio Emanuele II nell’autunno del 1861, a lungo conservata nella cosiddetta manica 36 al secondo piano di Palazzo Reale di Torino, la tela era stata danneggiata dall’incendio divampato nella vicina Cappella della Sacra Sindone nella notte dell’11 aprile 1997, propagatosi in alcuni spazi di Palazzo Reale. Più del fuoco che è andato ad intaccare la parte alta della cornice, i danni maggiori sono stati causati dall’acqua di spegnimento che hanno provocato un significativo distacco del colore. Grazie al progetto del ministero, è stato possibile restaurarla al Centro di Conservazione e Restauro La Venaria Reale.Da ieri la tela di 191×154 cm è visibile al pubblico nelle sale del Castello di Miramare, residenza realizzata per l’arciduca Massimiliano d’Asburgo, dove però, dal 1931 fino al 1937, trovò ospitalità anche Amedeo di Savoia Duca d’Aosta insieme alla consorte Anna d’Orléans. Ed è proprio all’interno dell’ala del Museo Storico convenzionalmente chiamata “Appartamenti del duca d’Aosta”, al primo piano del Castello, che il dipinto ha ricevuto infatti la sua nuova collocazione, di fronte all’uscita del salottino della duchessa: “a testimoniare i segni della storia – ha detto Andreina Contessa- e a rappresentare le diverse anime della città”.Pare che il dono a re Vittorio Emanuele II del dipinto raffigurante in chiave allegorica l’aspirazione dei triestini filoitaliani ad unirsi al neonato Regno d’Italia, avesse rallegrato molto Camillo Benso conte di Cavour, facendogli scoprire che Trieste non era poi così “fedelissima” all’Austria ma più italiana di quanto da lui pensato fino allora.Riguardo invece l’identità degli autori del gesto non sembrerebbero esserci fonti certe. Qualcosa di più tuttavia lo racconta Giovanni Modaffari, studioso, geografo all’Università degli Studi di Milano Bicocca, autore del libro di recente pubblicazione “La deriva di Antonio Snider Pellegrini” (Unicopli, Milano), recensito sulle pagine de Il Piccolo da Marta Herzbruch. Nel corso delle sue ricerche su Snider Pellegrini, personaggio quasi dimenticato della Trieste del XIX secolo, interessante, controverso, geografo e uomo d’affari, viaggiatore, originale precursore della teoria della deriva dei continenti, tra i fondatori delle Assicurazioni Generali, finanziatore e fiancheggiatore dei moti risorgimentali del 1848-49, con un ruolo decisivo nel salvataggio di Giuseppe Mazzini, nonché straordinario collezionista d’arte, lo studioso si è imbattuto in un singolare documento. Il 22 ottobre 1861 sulle colonne del “Diavoletto”, giornale “diabolico, politico, umoristico e se occorresse pittorico” di Trieste, si segnala in chiave polemica il contatto tra una delegazione di esuli giuliani e Vittorio Emanuele. Tra i potenziali responsabili si indicano Antonio Snider Pellegrini e Raffaele Abro, triestino di origini armene, cresciuto nell’ambiente patriottico che faceva capo al gruppo della “Favilla”.Tale contatto era molto probabilmente legato alla donazione del quadro, confermata anche da Costantino Ressman, un altro triestino rifugiatosi a Torino ed entrato nella segreteria di Cavour.L’accostamento dei nomi di Snider Pellegrini e Abro alla vicenda del quadro, secondo Modaffari, è giustificato dalla sicura presenza a Milano e Torino di Snider Pellegrini in quel periodo e dal suo lungo e costante impegno in favore dell’italianità di Trieste. Raffaele Abro era inoltre amico dell’autore del dipinto, Annibale Strata, nato a Cagliari nel 1822 e giunto a Gorizia nel ’33, pure lui convinto irredentista. Dopo aver frequentato l’Accademia di Belle Arti di Venezia, Strata prese parte ai moti antiaustriaci del ’48-’49. Prima di trasferirsi a Trieste, a seguito del divieto di commercio dei ritratti di Garibaldi, raffigurò l’Eroe dei due mondi nelle sembianze di san Giuseppe in diverse tele poi donate alle chiese dei villaggi del Collio. Fuggito a Milano, lì morì nel 1894.

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